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Martedì 24 dicembre 2024

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Senza aspettare che la guerra sia finita

Se oggi questa pandemia è una guerra, allora diventa un’occasione per riprendere il sogno di una nuova Europa che fu di Altiero Spinelli e di Duccio Galimberti

La Guida - Senza aspettare che la guerra sia finita

Erano ancora in pieno nell’ora buia della Seconda guerra mondiale Altiero Spinelli a Ventotene e Duccio Galimberti a Cuneo quando, ciascuno per conto proprio, disegnarono il progetto di una nuova Europa: quella che il primo avrebbe provato a costruire per lunghi anni, non senza importanti risultati, e che il secondo non poté vedere perché vittima, poco tempo dopo, del nazi-fascismo.

È di nuovo il momento di riprovarci, per i giovani che hanno ancora tanto da vivere e per i meno giovani che hanno qualche esperienza in più da spendere perché qualche errore in più hanno fatto: tutti insieme per costruire una nuova Europa che non tutti riusciranno a vedere ma di cui tutti abbiamo bisogno.

La pandemia in corso è stata da molti assimilata a una guerra e in parte lo è, anche se con caratteristiche differenti e una diversa visibilità fisica, ma con un’analoga devastante capacità distruttrice. E non solo per le molte vite che si sta portando via, per l’incertezza e l’angoscia che diffonde  e per le macerie in cui riduce interi settori economici e sociali, seppellendovi sotto anche le condizioni di vita di chi continua a varcare i cancelli delle fabbriche e le porte di accesso ai servizi, quelli sanitari in primo luogo.

Della guerra l’emergenza che viviamo non ha solo le caratteristiche negative; essa offre anche l’occasione di riflettere alle cause che l’hanno originata: non solo quelle immediate che hanno alimentato il virus, ma anche il mondo in cui è cresciuto e che adesso ne è divorato. Quel mondo cosiddetto “globale” e drammaticamente “diseguale”,  che si rivela adesso ripiegato sulle sue mille frontiere, tra gli Stati e, all’interno di questi, come in Italia, tra le Regioni: tutti lanciati in una folle competizione al “si salvi chi può” con il risultato che molti, troppi finiscono per non salvarsi.

Come rischia di non salvarsi questa straordinaria impresa che è da oltre settant’anni l’Unione Europea, quella che all’inizio degli anni ’50 chiamavamo “Comunità” e che nelle crisi si è dimostrata troppo spesso un’accozzaglia di tribù litigiose. Anche da questo dobbiamo imparare: eravamo nati per lasciarci alle spalle le tragedie di due guerre mondiali, ci siamo in parte riusciti nonostante le guerre che hanno lambito i nostri confini, ma adesso che un’altra “guerra” ci è esplosa in casa è venuto il momento di ricavare lezioni dagli errori del passato: un’esperienza dolorosa ma anche preziosa che ci può adesso aiutare a non perdere altro tempo e a mettere subito in cantiere un’altra Europa. E pazienza se subito non risponderanno all’appello tutti i ventisette Paesi che oggi la compongono, nell’urgenza comincino a muoversi verso il futuro almeno i Paesi dell’eurozona che ci credono, stringendo un nuovo patto e non accontentandosi dell’aridità di un mercato fintamente unico o della sola Banca centrale europea e, ancor meno, della sua attuale direzione.

Quando all’inizio del secolo venne affondato il progetto di una Costituzione per l’Europa, si cercò un’attenuante nelle condizioni storiche: ricordarono allora molti che le Costituzioni emergono all’indomani di grandi rivolgimenti, come nel caso di molte nostre Costituzioni, formatesi all’indomani della Seconda guerra mondiale. E allora, per una volta, prendiamo sul serio le parole: se oggi, di nuovo, di una guerra si tratta, allora anche di un’occasione si tratta per riprendere il sogno che fu di Altiero Spinelli e di Duccio Galimberti: forse noi saremo di loro più fortunati, grazie alle lezioni che ci sono state impartite nel frattempo dalla storia e grazie ai tempi nuovi che si profilano per l’immenso cantiere di un mondo nuovo da ricostruire.

In Europa  cominciando subito, per non perdere un’altra guerra perché, come disse il generale Douglas MacArthur, in due parole si riassume una guerra persa: “troppo tardi”.

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