Moretta – Di giorno autotrasportatore e di notte molestatore al telefono. Per E.M. di Avellino è questa l’accusa con cui è finito a processo al Tribunale di Cuneo.
I fatti risalgono al periodo tra marzo e aprile del 2017. Le donne offese, e inizialmente anche molto preoccupate, sono tre centraliniste e addette alla reception dello stabilimento di Moretta ex Nestlè e ora Giovanni Rana.
“Le telefonate arrivavano di sera e nel turno notturno – ha riferito in aula N.A.B., una delle impiegate – il contenuto era decisamente osceno, ma la cosa che mi preoccupò era che una o due volte mi chiamò per nome, e quindi mi conosceva e nelle telefonate diceva di vedermi, che mi aspettava. Il nostro gabbiotto si affacciava su un piazzale di parcheggio, eravamo sole, eravamo spaventate”.
“Millantava di aver fatto sesso con me e che quindi pretendeva di farlo con le altre – ha riferito la collega D.P. – ero così preoccupata che facevo venire mio marito a tenermi compagnia. Poi una volta la mia collega riuscì a registrare una di queste telefonate e ascoltando quella voce con più attenzione riconobbi E.M., uno dei conducenti di camion che veniva a caricare da noi. Su consiglio del nostro addetto al personale ci recammo dai Carabinieri e denunciammo ‘il maniaco’, come lo chiamavamo”.
Sul display del telefono fisso dell’azienda compariva sempre la chiamata da numero anonimo, ma i Carabinieri tramite i tabulati arrivarono all’identificazione dell’intestatario dell’utenza, il signor C.D., titolare di una ditta di trasporti di Nocera Inferiore. Assolutamente ignaro del cellulare e dell’utenza attivata a suo nome, conosceva però E.M. perchè era stato suo dipendente e procedette subito a sporgere querela per sostituzione di persona. Dalle indagini dei Carabinieri emerse che nei confronti di E.M. era aperto un procedimento per fatti analoghi presso il Tribunale di Forlì.
A conclusione dell’istruttoria, il Pubblico Ministero ha chiesto la codanna a 4 mesi di reclusione, mentre la difesa ha chiesto l’assoluzione per mancanza certa della prova che fosse proprio l’imputato ad usare quel cellulare. Il giudice ha invece accolto la richiesta dell’accusa, condannando E.M. al pagamento di 516 euro di ammenda.