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Domenica 22 dicembre 2024

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Cosa resta oggi dell’ex Policlinico di corso Dante

Chiuso dall’aprile del 1984 l’edificio, un pezzo importante di storia sanitaria, è ormai in stato di abbandono nel centro città

La Guida - Cosa resta oggi dell’ex Policlinico di corso Dante
L’ex policlinico sul lato di corso Dante

L’ex Policlinico sul lato di corso Dante

Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 un terzo dei bambini cuneesi nasceva nel Policlinico di corso Dante. Dietro le finestre, ora sbarrate, sette stanze ospitavano ognuna due mamme e, a fianco ai loro letti, due culle con i loro bambini. Un’unica stanza, quella in  fondo del corridoio era più grande e  aveva quattro posti.

Sui registri, compilati a mano dalle ostetriche, l’elenco dei bambini nati arrivava a volte fino a seicento all’anno. Accanto al loro nome veniva segnato il peso, l’orario e le modalità del parto.

Ad aprile del 1984 l’elenco si interrompe e nessuna nuova nascita viene aggiunta.

L'ingresso principale del Policlinico

L’ingresso principale del Policlinico

Un ambiente familiare

“Io e i miei due fratelli siamo nati al Policlinico” dice sorridendo il dottor Giorgio Benso, ripensando all’edificio che ha attraversato gran parte della sua vita, a partire da prima ancora della sua nascita. Dal 1954, anno in cui il professor Barberis, un chirurgo monregalese, ha aperto la clinica, il padre, il dottor Alfio Benso, ha sempre lavorato lì come ginecologo e poi come direttore sanitario della struttura.

“Il Policlinico era l’istituzione che ci dava da vivere e che in cambio richiedeva dedizione e quindi noi concedevamo ad essa ampi spazi del rapporto con nostro padre. Lui percepiva il suo lavoro come una missione e dedicava, giustamente, parte del suo tempo e della sua attenzione alle pazienti. Quando c’era una partoriente, termine che per noi era un po’ misterioso ma che sapevamo avere il codice rosso, passava davanti a tutto: non c’era giorno, non c’era notte, non c’era vacanza”.

Il dottor Giorgio Benso, figlio di Alfio Benso, direttore sanitario del Policlinico

Il dottor Giorgio Benso, figlio di Alfio Benso, direttore sanitario del Policlinico

Il dottor Benso ricorda i corridoi luminosi che attraversava insieme alla madre e ai fratelli quando andavano a trovare il padre, descrive le stanze e la loro disposizione nella struttura. “Era un ambiente familiare. Conoscevamo tutto il personale e loro riconoscevano noi”.

I dipendenti del Policlinico non erano molti, una decina in tutto. Il personale infermieristico era costituito prevalentemente da alcune suore francescane, a loro si aggiungevano tre ostetriche, alcuni tecnici e ausiliari e dei fact totum. Di molti di loro il dottor Benso ricorda il nome, il volto, il carattere: “erano poche persone che facevano bene il loro lavoro, affiatate, semplici, buone”.

Oltre ai dipendenti c’erano poi i medici e i chirurghi che con il Policlinico avevano un contratto libero professionale.

Il cortile dell’ex Policlinico

Il cortile dell’ex Policlinico

Un’ostetricia all’avanguardia

Il nucleo portante del Policlinico era il reparto di ginecologia e ostetricia, efficiente e professionale ma anche caldo e accogliente. “L’ostetricia funzionava bene — racconta Piercarla Maccario, che per anni ha lavorato nella clinica come ostetrica — perché era un po’ una casa, per noi dipendenti e per le donne che venivano a partorire”.

Nel periodo in cui al Policlinico si effettuava il numero più alto di parti c’erano tre ostetriche che facevano i turni per coprire il reparto 24 ore su 24. “Avevamo molta responsabilità perché eravamo in poche, ma allo stesso tempo eravamo libere di gestire i nostri turni e gli orari. Ad esempio, nessuna di noi ha mai fatto dei giorni di malattia perché ci sostituivamo a vicenda: se una non stava bene l’altra andava”.

Piercarla Maccario, ostetrica che ha lavorato per anni al Policlinico

Piercarla Maccario, ostetrica che ha lavorato per anni al Policlinico

Le piccole dimensioni della casa di cura e il numero ridotto dei dipendenti hanno facilitato la creazione di legami di fiducia e intimità tra le donne e il personale sanitario. Nel Policlinico si intrecciavano insieme professionalità e umanizzazione: un mix che attraeva i cittadini della zona.

La clinica era convenzionata con la regione. “I pazienti spiega Piercarla Maccario pagavano un ticket e una retta giornaliera minima, ma erano cifre esigue”. C’era quindi la possibilità di scegliere tra l’ospedale, ente del tutto pubblico, e il Policlinico, ente privato convenzionato.

“Nel tessuto sanitario locale — ricorda anche il dottor Benso — c’era spazio per entrambi gli enti. Era una forma di competizione che non era rampante e aggressiva, anzi, c’erano rapporti professionali ricchi e carichi di stima tra i dipendenti delle due strutture”.

Lo sportello di accoglienza del Policlinico, ormai abbandonato

Lo sportello di accoglienza del Policlinico, ormai abbandonato

La chiusura del policlinico

Alla morte del professor Barberis il Policlinico è passato nelle mani di alcuni privati fino alla primavera del 1984 quando è iniziato un periodo di sospensione dell’attività sanitaria che ha portato poi alla chiusura definitiva nello stesso anno.

Piercarla ricorda: “un giorno ci hanno detto che non ci sarebbero più stati ricoveri, ma nessuno sapeva dare una spiegazione. Non eravamo stati ufficialmente licenziati e i sindacati ci dicevano che doveva sempre esserci qualcuno nella struttura perché ne eravamo ancora responsabili”. All’interno infatti c’erano ancora il laboratorio, la sala operatoria e la sala parto allestiti e tutti i medicinali negli scaffali. “Così noi dipendenti siamo stati lì a presidiare una struttura che non esisteva. Era angosciante” dice Piercarla scuotendo la testa.

I turni per non lasciare abbandonato il Policlinico sono finiti a novembre, quando è stato dichiarato il fallimento della casa di cura e la struttura è stata chiusa per ordine del tribunale.

Il personale è stato lentamente riassorbito nell’organico ospedaliero o ha intrapreso strade diverse.

L’edificio, su cui vige il vincolo di utilizzo sanitario, è stato oggetto di numerosi progetti di riqualificazione e di altrettanti dibatti, senza però essere mai riaperto. Negli anni l’ex policlinico è stato riparo di senza tetto, deposito di materiale rubato e ha ospitato colonie di animali randagi, sollevando le proteste del vicinato.

A distanza di più trent’anni le finestre rimangono sprangate e l’erba cresce incolta nel cortile interno della struttura.

“Ogni tanto mi manca il Policlinico, era una bella storia”, conclude Piercarla.

Foto di gruppo del personale del policlinico, scattata davanti all’ingresso principale

Foto di gruppo del personale del Policlinico, scattata davanti all’ingresso principale

Racconta un ricordo

“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l’abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant’anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore.” La casa degli spiriti, Isabel Allende Se anche voi, come Clara, avete annotato su un taccuino o semplicemente nella vostra mente alcuni episodio che riguardano il policlinico, se anche voi siete nati lì o avete visto qualcuno nascere nella clinica, scriveteci i vostri ricordi, serviranno per riscattare la memoria del passato nell’attesa di costruire un futuro.

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