Torino – Il Katona József Színház di Budapest è sicuramente il più prestigioso teatro ungherese, una sorta di Piccolo Teatro magiaro. Ha sede in uno spettacolare edificio neobarocco del centro e prende il nome dal drammaturgo che è considerato l’autore del primo grande testo teatrale ispirato ai sentimenti nazionali ungheresi, “Il bano Bánk”: un dramma storico del 1825 che, nell’Impero Austriaco di Metternich e della Restaurazione, fece scandalo per i suoi sentimenti anti-asburgici, nonostante l’ambientazione medioevale particolarmente amata dai Romantici. Grazie a registi come il direttore artistico Gábor Máté, Tamás Aschere Gábor Zsámbéki, il Katona, come viene più spesso indicato, mette in scena fin dal 1982 (ovvero: ancora sotto il regime comunista) testi classici e contemporanei con uno spiccato approccio realistico, che lo hanno reso noto internazionalmente. Chi ama il teatro importante ha fatto bene, quindi, a non perdersi la trasferta torinese della compagnia ungherese, la quale ha presentato dal 14 al 17 marzo, al Teatro Carignano (all’interno del “Progetto internazionale” dello Stabile), “Nora – Natale a casa Helmer”diretto dalla 36enne Kriszta Székely.
Il lavoro è una coinvolgente attualizzazione di “Casa di bambola”, lo “scandaloso” capolavoro di Henrik Ibsen che, quando fu messo in scena per la prima volta nel 1879 (a Copenhagen), suscitò un clamore immenso perché proponeva la storia di una donna (Nora Helmer, appunto) che rifiuta il ruolo di moglie e madre, abbandonando il marito (che la vorrebbe superficiale e sottomessa) e – addirittura – i propri figli. Se il testo (come tutti quelli del drammaturgo norvegese) non ha perso col tempo smalto e profondità, è vero che la vicenda in sé, cambiato il ruolo delle donne nel mondo occidentale, appare per certi versi un po’ superata dai cambiamenti sociali sopraggiunti nel frattempo. Per questo motivo, la Székely riscrive (e prosciuga) “Casa di bambola”, la ambienta nel tempo presente e mostra – semplicemente – la crisi e l’esplosione di un matrimonio, caratterizzato fino a quel momento dal trionfo dell’apparenza sulla sostanza. Ci porta – per poco più di un’ora e mezzo – nel salone di una casa borghese che si affaccia su un giardino. Ci sono l’albero di Natale, il caminetto, tre bambini deliziosi, una piccola band di adolescenti che suona dal vivo. E ovviamente accanto alla “coppia perfetta” formata dalla sempre inappuntabile Nora e dal marito Torvald, troviamo l’amico dottore gravemente ammalato, Kristine, accolta dalla sua vecchia compagna di scuola in un momento difficile, così come Krogstad che minaccia di rivelare un segreto che Nora non può confessare, se non verrà aiutato da lei a mantenere il lavoro nella banca del marito. Ma c’è anche una curiosa festa pre-natalizia in maschera dove la Nostra, vestita da Morticia della famiglia Addams, anziché ballare nevroticamente – come in Ibsen – la tarantella imparata in Italia, canta con energia rock “Somebody To Love”, uno dei brani che i Jefferson Airplane di Grace Slick eseguirono a Woodstock.
Alla fine Nora vedrà comunque la sua colpa rivelata e, anche se il disastro temuto non avrà luogo, scoprirà che pure nel XXI secolo una relazione familiare può essere vampirizzata dal perbenismo, dall’ipocrisia e dall’interesse economico. E così, come la sua omonima ottocentesca, rinuncerà ad essere una casalinga disperata e se ne andrà.Da ricordare tutti gli attori: ErnőFekete (il marito), Tamás Keresztes (Krogstad), Réka Pelsőczy (Kristine), Gergely Kocsis (il dottore) e soprattutto la bravissima Eszter Ónodi, che dà della tormentata eroina di Ibsen un’interpretazione davvero interessante.