Nato nel 2003 ad opera dell’associazione culturale Origami come festival dedicato al rock, all’elettronica live e alle arti multimediali, “Encode”col passare degli anni ha finito per dare uno spazio sempre maggiore ai musicisti che facevano dei suoni digitali il fulcro delle loro creazioni. Restava però fissa la sede dell’iniziativa: l’ex-Bertello di Borgo San Dalmazzo.
A sorpresa, però, l’8 ottobre, la manifestazione – ormai giunta alla 16° edizione – s’è trasferita nella bellissima e prestigiosa cornice del Filatoio di Caraglio. Se alla sera erano di scena (nel cortile) la dance sperimentale tra analogico e digitale dei roerini Tweeedo, il dj set del cuneese Robbenspierre e soprattutto il celebre dj/producer tedesco Christian Löffler, è nel tardo pomeriggio che s’è svolta (Sala delle Colonne) la proposta più sorprendente: la performance “Waterbowls” di Tomoko Sauvage.
Nata a Yokohama ma ormai residente a Parigi dal 2003, appassionata inizialmente di Ryuichi Sakamoto e poi di Alice Coltrane e Terry Ryley, è arrivata all’idea di creare musica con l’acqua ascoltando Anayampatti Ganesan, celebre virtuoso indiano del jal tarang, strumento a percussione costituito appunto da ciotole piene d’acqua.
Da allora, 12 anni fa, la Nostra lavora sul rapporto tra le dimensioni di contenitori di ceramica (alcuni fatti costruire appositamente – dove se no? – a Limoges), la quantità d’acqua in essi contenuta, l’interazione causata a livello sonoro dai movimenti della mano o di oggetti immersi nel liquido (porcellana Biscuit, legno, sassi) e il ruolo dell’ambiente. Con un sistema di idrofoni collegati ad un synth, amplifica gocciolii, bolle e onde e gioca con droni e riverberi, costruendo paesaggi sonori ipnotici e suggestivi (l’ultimo suo album, “Musique hydromantique”, si riferisce fin dal titolo alle antiche pratiche divinatorie legate alla “lettura” dell’acqua).
Al Filatoio, vestita in puro stile nipponico, seduta per terra, ha regalato uno show tanto breve quanto magico che suggeriva visioni oniriche, mondi subacquei e luoghi naturali deserti, in cui increspature sonore potevano introdurre elementi dinamici e sorprese. Inquietanti e quasi meccaniche a volte, in altre evocativi di spazi e riti religiosi (rigorosamente orientali), in altre ancora ancestrali come versi animali o voci umane senza parole.