Nel 1997 il grande e compianto scrittore W. G. Sebald (1944-2001) tenne a Zurigo una serie di conferenze su un argomento tabù nel mondo tedesco: l’effetto devastante dei bombardamenti alleati sulla Germania (e in particolare su città come Amburgo e Dresda) alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Recuperando libri o testi scritti poco dopo i tragici eventi, non necessariamente di alta qualità letteraria e comunque passati allora inosservati, descrisse in modo indimenticabile un mondo sbriciolato, bruciato e spesso letteralmente fuso dall’inaudito calore sprigionato dagli ordigni lanciati dagli aerei americani e inglesi. Leggere la trascrizione di queste lezioni in “Storia naturale della distruzione” (Adelphi, 2004) fa un effetto sconvolgente, perché – oltre ad offrire un punto di vista non scontato su un conflitto che crediamo invece di conoscere benissimo – ci mostra in modo particolarmente struggente i sopravvissuti, mentre s’aggirano tra quelle impressionanti rovine e cercano difficoltosamente una nuova routine.
Se si è letto il libro di Sebald (recuperatelo se non lo conoscete ancora), era difficile non pensare a quelle vittime dimenticate della guerra assistendo a “Late Night”, lo straordinario spettacolo “Late Night” andato in scena al Teatro Astra di Torino (5-6 giugno), all’interno della 23° edizione del “Festival delle Colline Torinesi”. Ancora in tour a cinque anni dal debutto, è uno dei lavori che hanno reso così noto ed importante il collettivo ateniese Blitz Theatre Group. Meritatamente.
Siamo in una sala da ballo piuttosto scalcinata, polverosa, con sedie tutte spaiate, un vecchio televisore, un ventilatore economico e il parquet in un linoleum approssimativo circondato di macerie. Vi danzano quasi fino allo sfinimento tre uomini e tre donne, in uno strano mix della balera di “Kontakthof” di Pina Bausch, della casa-prigione de “L’angelo sterminatore” di Luis Buñuel e della gara di danza ad oltranza di “Non si uccidono così anche i cavalli?” di Sidney Pollack.
Presto, però, dal racconto dei ballerini che s’alternano disordinatamente ad un microfono, scopriamo – anche se in modo frammentario e non consequenziale – che stanno faticosamente sopravvivendo ad un conflitto che ha lacerato e distrutto l’Europa. Il mondo come lo conoscevamo è andato in pezzi.
Ci sono cenni a luoghi(Notre-Dame a Parigi, la tomba di von Kleist a Berlino)e a battaglie (Zurigo, Potsdam, Varsavia, Salonicco), a suicidi collettivi, cadaveri lasciati senza sepoltura, lunghe marce forzate, boati continui causati dal passaggio degli aerei militari. Allo stesso tempo i sei raccontano quel che sta avvenendo in quella sala davanti ai nostri occhi, le relazioni che ci sono tra di loro, la volontà di andare avanti nonostante tutto, di ballare finché c’è musica. Le loro speranze, le loro illusioni ideologiche (non importa se utopistiche fino alla comicità), la nostalgia per il passato che non c’è più, per un’Europa andata in pezzi. E intanto ballano, ballano, mentre si susseguono brani diversi, proposti da un dj invisibile, in una selezione di grande impatto emotivo, che mescola senza soluzionedi continuità toni eterogenei: dal “Valzer n. 2” di Dmitrij Šostakovič al sadcore della cantautrice russo-canadese Michelle Gurevich (“Lovers Are Strangers”, in una scena meravigliosa), dal “Masquerade Waltz” dell’armeno Aram Khachaturian ad una sorta di pop thailandese anni Sessanta (come quello riscoperto da etichette come la Soundway). E così via.
Quando non danzano, ci divertono con giochi di prestigio non riusciti e acrobazie surreali, mescolando Fellini, Lynch e Beckett. Ma spesso ci spiazzano con frasi di una poesia straziante (le giraffe in fuga da uno zoo distrutto che sbattono – terrorizzate – contro i semafori), mostrando un’urgenza espressiva che, forse, può giungere solo da un Paese come la Grecia, che ha vissuto in modo ancor più drammatico una crisi sociale, economica, politica e identitaria che ha toccato (e tocca) tutto il nostro Continente.
Tra i fantastici sei interpreti c’era anche – cofondatrice del gruppo – Angeliki Papoulia, conosciuta anche come attrice dei film “Dogtooth”, “Alps” e “The Lobster” che hanno reso conosciuto internazionalmente il regista greco Yorgos Lanthimos.
Il Festival delle Colline Torinesi continua fino al 22 giugno. Da non perdere, tra i tanti spettacoli ancora in programma, almeno “Empire” dello svizzero premiatissimo (e neo-Ubu) Milo Rau (il 16 e il 17 all’Astra) e – per chi se lo fosse perso a Cuneo o volesse rivederlo in un palco più grande – il fantastico “Macbettu” di Alessandro Serra (il 17 e il 18 a Moncalieri).
Per informazioni e orari: www.festivaldellecolline.it