Cuneo – Diciotto archiviazioni su ventidue per i manager del crac Eurofidi. Tra questi Giandomenico Genta, che all’epoca a cui si riferisce l’indagine della Guardia di Finanza ricopriva il ruolo di componente del collegio sindacale, e che oggi è il presidente della Fondazione Crc, e Giorgio Bergesio, vice presidente di Eurofidi, segretario provinciale della Lega e oggi candidato al Senato.
Il caso giudiziario Eurofidi apertola fine 2016, si chiude dunque per buona parte dei manager a cui era arrivato in piena estate un avviso di garanzia, perché il giudice per le indagini preliminari, Ambra Cerabona, della Procura di Torino, ha fatto cadere ogni accusa. Entrambi i cuneesi, come gli altri sedici, erano stati indagati nel caso Eurofidi con l’accusa di falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia. Restano ancora al vaglio del pm, Ciro Santoriello, le posizioni di quattro amministratori tra cui l’ex presidente di Eurofidi, Massimo Nobili e l’ex amministratore delegato e direttore generale, Andrea Giotti. In sostanza il gip ha ritenuto la maggior parte dei soggetti coinvolti persone che non ricoprivano funzioni operative all’interno del consorzio fidi e che comunque si sono rivelate estranee all’ambito in cui si sono verificate le irregolarità. Genta, così come Francesco Maria Spano, Davide di Russo e Antonio Mattio che facevano parte del collegio sindacale, secondo il gip, non potevano aver avuto alcuna responsabilità sulla mancata vigilanza relativa alle poste di bilancio, anche perché la funzione era di fatto attribuita a una società di revisione.
Le indagini del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza sono partite dal crac del più grande consorzio di fidi d’Italia, partecipato al 19% dalla Regione Piemonte e, per il resto, da banche, enti e associazioni imprenditoriali e dalle stesse imprese-clienti. Nel settembre del 2016 si è scoperto un buco di bilancio di 50 milioni di euro non coperto da controgaranzie del fondo centrale di garanzia, che il cda ha tentato di rattoppare con un aumento di capitale da 35 milioni, aumento che non è avvenuto e che ha portato al tracollo dell’azienda, costretta a deliberare la liquidazione volontaria, il 5 ottobre 2016. Da quel momento è partita l’inchiesta della procura.