E’ difficile non amare “Il flauto magico” di Mozart. Da un punto di vista tecnico è un “Singspiel”, ovvero un intreccio tra teatro in prosa e parti cantate, a differenza della celeberrima trilogia di opere in italiano del musicista salisburghese (“Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni” e “Così fan tutte”), dove arie e duetti si alternano invece a recitativi accompagnati dal clavicembalo. Dal lato – per così dire – storico e filosofico, non si può invece dimenticare che è un omaggio al pensiero illuminista e soprattutto alla massoneria, della cui simbologia l’opera è ricchissima: l’iniziazione di Tamino e Papageno – attraverso prove particolarmente difficili – ricorda il percorso iniziatico che deve compiere un massone (e che dovette affrontare anche lo stesso artista, entrato nel 1784 nella loggia viennese “Alla beneficenza”), come sono massonici i riferimenti costanti a concetti come la fratellanza, la sapienza e la razionalità o elementi onnipresenti come il tre, considerato dai Liberi Muratori il numero perfetto. Il motivo principale, però, per cui ci si affeziona a questo capolavoro consiste nel fatto che è soprattutto una fiaba bellissima, costruita su una musica meravigliosa e ricca di personaggi indimenticabili, colpi di scena, vicende stupefacenti e autentica poesia, divertente e commovente, popolare e colta allo stesso tempo. Una storia bellissima che, tra l’altro, ha ispirato anche uno dei più incantevoli film di Ingmar Bergman (“Il flauto magico”, 1975), che sarebbe un peccato mortale a questo punto non consigliare. Amatissima anche in Italia, anche se scritta in tedesco, quest’opera non manca nei calendari dei nostri principali teatri: a settembre la Scala ne ha presentato la versione di Peter Stein, poche settimane fa l’Opera di Firenze l’ha proposta con la regia di Damiano Michieletto, mentre in questi giorni il Teatro Regio di Torino ha saggiamente ripreso il fortunato allestimento del 2014 di Roberto Andò. Già in quell’occasione il regista palermitano (i cuneesi hanno visto recentemente al Toselli la sua “Locandiera B&B” con Laura Morante) esaltò con efficacia la teatralità del testo, spingendo i cantanti ad essere più attori del solito, a muoversi addirittura in platea e ad interagire col pubblico (fatto – quest’ultimo – non proprio usuale nella lirica). Aiutato dallo scenografo Giovanni Carluccio e dalla costumista Nanà Cecchi, costruì ambienti e situazioni lievi e immaginifici, punteggiati di particolari deliziosi e visionari (il ritratto di Pamina in forma di marionetta, l’apparizione in forma quasi fantasmatica della Regina della Notte, la canoa alata dei tre genietti, i manoscritti sapienziali che calano dall’alto prima delle prove iniziatiche, l’uovo sospeso sopra Sarastro come nella “Pala di Brera” di Piero della Francesca, etc), dove persino i numerosi simbolismi sono leggeri. Se vedere o rivedere tutto ciò meriterebbe di per sé, quello che rende quest’appuntamento imperdibile è l’insieme dei cantanti, in particolare quelli del primo cast, che chi scrive ha ammirato nella prova generale del 13 maggio, insieme ad un pubblico a dir poco entusiasta. Notevoli sono il soprano russo Ekaterina Bakanova, che interpreta Pamina in modo vivace ed emozionante, e il giovane tenore italiano Antonio Poli, a suo agio nel ruolo di Tamino. Efficace nel rendere ieratico e magnanimo il personaggio di Sarastro è il basso islandese Kristinn Sigmundsson. Straordinaria è, però, la performance del soprano russo Olga Pudova (già presente nel 2014), la cui Regina della Notte, soprattutto nel celebre assolo del secondo atto, lascia letteralmente senza fiato. Bravi sono anche Elisabeth Breuer (una riuscita Papagena), Cameron Becker (il perfido Monostatos), il trio delle voluttuose dame della Regina (Sabina von Walther, Stefanie Irányi, Eva Vogel) e il trio dei genietti, le cui apparizioni sono sempre fonte di commozione (Valentina Escobar, Lucrezia Piovano e Giorgio Fidelio). Protagonista assoluto di questo lavoro è però lo strepitoso Papageno di Markus Werba (già presente pure lui nel 2014), divertentissimo e irrefrenabile, tanto da coinvolgere nelle sue azioni persino il direttore dell’Orchestra, l’israeliano Asher Fisch. A partire dall’aria in cui si presenta (la scoppiettante “Der Vogelfänger bin ich ja") fino alla lunga e bellissima scena che porta al celebre incontro con Papagena, passando per il duetto con Pamina ("Bei Männern, welche Liebe fühlen”), cantato in platea con una freschezza rara, il baritono austriaco è capace di dare al ruolo di Papageno una forza e una verità umana che sarà difficile dimenticare. Le prossime recite sono giovedì 18 (ore 20), sabato 20 (ore 20, secondo cast), domenica 21 (ore 15), martedì 23 (ore 15, secondo cast), mercoledì 24 (ore 20), venerdì 26 (ore 20), sabato 27 (ore 20, secondo cast) e domenica 28 (ore 15). Approfittatene!L’ultimo appuntamento della stagione del Regio, infine, è con il “Macbeth” di Verdi, messo in scena (dal 21 giugno al 2 luglio) dalla star del teatro d’avanguardia Emma Dante.