Cuneo – Pippo Delbono non piace a tutti. Lo sa bene chi era al Toselli il 15 novembre 2014 quando presentò “Il sangue”, forse uno degli spettacoli più divisivi visti nel teatro cuneese negli ultimi anni. L’autore ligure è diventato una star internazionale con messinscene visionarie, eccessive, dolorosamente poetiche ma soprattutto incatalogabili a partire da “Barboni” (1997) dove, per la prima volta, recitavano con lui vagabondi, malati di mente e disabili come Bobò, un microcefalo sordomuto rinchiuso in manicomio per 45 anni e tuttora emblema della sua compagnia.Dal 21 al 26 marzo Delbono è tornato da queste parti. Dopo aver presentato il recente “Vangelo” in Belgio, Polonia, Russia e Francia, ha infatti riproposto, alle Limone Fonderie di Moncalieri, uno spettacolo del 2013, “Orchidee”. Come il celebrato “Dopo la battaglia” (Ubu per il miglior spettacolo del 2011), consiste in un flusso anarchico di immagini, video, parole, musica, danza e azioni senza soluzione di continuità. Minimo comune denominatore: lo stesso regista che al microfono parla di sé, riflette o legge brani di autori amati. Seduto dal fondo alla sala, muovendosi tra il pubblico o persino danzando sul palcoscenico, dirige di fatto i suoi attori che si susseguono, spesso travestiti in modo improbabile o anche completamente nudi, dando corpo alla sua poesia provocatoria e drammatica. Se il senso di déjà vu è innegabile, in compenso alcuni momenti perdonano lungaggini, rallentamenti e ridondanze. Come la parte dedicata a “Child In Time” dei Deep Purple, dove immagini di scimmie, testo e musica creano un intreccio inquietante e bellissimo. O il frammento bizzarro dall’opera “Nerone” di Mascagni e quello evocativo dal “Giardino dei ciliegi” di Cechov. Oppure il video impietoso dell’agonia della madre (la cui morte è la principale ispirazione di “Orchidee”) su cui il figlio recita la morte di Ofelia dall’”Amleto” in un cortocircuito mozzafiato tra vita e arte.