Chi tra il 9 e il 20 novembre è andato al Teatro Carignano di Torino, s’è goduto uno degli spettacoli più belli e più importanti degli ultimi anni: “Lehman Trilogy”, testo di Stefano Massini messo in scena da Luca Ronconi. Quattro ore e mezzo di teatro perfetto, proposte in due distinte parti, a sere alterne, o – in tre occasioni – tutte di seguito (in questo caso dalle 15.30 alle 20.30, con intervallo).Chi se l’è perso, comunque, non disperi: ha ancora l’opportunità di recuperare, recandosi al Piccolo Teatro di Milano, dove verrà riproposto dal 3 al 21 gennaio 2017. Con la possibilità, anche in quel caso, di vedere – in alcune giornate – le due parti consecutivamente.Ma perché fare questa fatica? I motivi sono almeno otto.Per prima cosa è l’ultimo lavoro di uno dei grandi maestri del teatro contemporaneo, Luca Ronconi, morto il 21 febbraio 2015, proprio poco dopo il debutto di “Lehman Trilogy” al Piccolo. Straordinario innovatore e sperimentatore della scena, il regista era conosciuto in tutt’Europa per allestimenti che hanno cambiato per sempre la storia del teatro, come il leggendario ”Orlando furioso” del 1969 o lo strepitoso “Gli ultimi giorni dell’umanità” nell’ex sala presse del Lingotto nel 1990.Secondo motivo: il testo è scritto da quello che è forse il più importante dei nuovi drammaturghi italiani, Stefano Massini. Molto attento alle grandi questioni della contemporaneità e – tra l’altro – succeduto proprio a Ronconi nel ruolo di consulente artistico del Piccolo Teatro, è conosciuto ormai internazionalmente grazie a opere come “Processo a Dio”, “Donna non rieducabile” (su Anna Politkovskaja), “7 minuti” (da cui è stato tratto il recente film di Michele Placido) e ovviamente “Lehman Trilogy”: messo in scena per la prima volta a Parigi nel 2013 (da Arnaud Meunier) e tradotto in 14 lingue, nel 2016 è stato rappresentato anche in Germania, in Belgio e presto sarà realizzato in inglese da Sam Mendes (Oscar per il film “American Beauty”).Terzo motivo: “Lehman Trilogy” è un’opera bellissima, una sorta di lungo poema drammatico frutto di una scrittura fluida, intelligente ed emozionante. Pubblicato da Einaudi, è anche una lettura coinvolgente.Quarto motivo: l’argomento. Massini ha voluto raccontare una storia cruciale: quella della banca Lehman Brothers, il cui clamoroso fallimento, il 15 ottobre 2008, è considerato l’evento simbolo della crisi economica che ci ha colpito in questi anni. Fondata nel 1850 in Alabama da tre fratelli ebrei provenienti dalla Baviera, la società è stata una protagonista dello sviluppo del capitalismo statunitense (e non solo), aprendosi di volta in volta a nuovi ambiti: dal mercato del cotone a quello del caffè, dallo sviluppo delle ferrovie alla produzione di televisori e poi di computer, etc. etc. La gestione familiare terminò nel 1969 e così, dopo i vari fratelli, figli e nipoti evocati dal testo, arrivano nuovi dirigenti (che Ronconi rappresenta come una sorta di zombie), che sono all’origine delle scelte spregiudicate in campo finanziario che porteranno alla bancarotta. Una storia che Massini rende viva con un susseguirsi quasi cinematografico di episodi coinvolgenti, immagini evocative e dialoghi emblematici e freschi, creando un teatro appassionante e allo stesso tempo capace di fare riflettere più di un saggio sulla grande recessione che stiamo vivendo.Quinto motivo: lo spettacolo vede in scena un gruppo di attori in stato di grazia, a partire dal formidabile trio che interpreta i fratelli fondatori della Lehman Brothers: Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni e Massimo Popolizio. Ma sono eccellenti anche Paolo Pierobon, Fausto Cabra e tutto il resto del cast (in totale: 12 attori), diretti con efficacia dalla mano di Ronconi che fa loro recitare e raccontare le varie vicende, senza soluzione di continuità, come avvenne in passato nel geniale “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”.Sesto motivo: le scenografie (di Marco Rossi) sono semplici, divertenti e molto ronconiane per altro. Apparentemente minimali, vedono un proliferare progressivo di botole e saliscendi che fa apparire, scomparire e spostare tavoli, sedie, insegne e gli stessi attori.Settimo motivo: “Lehman Trilogy” ha vinto a fine 2015 tre Premi Ubu, il corrispettivo dell’Oscar (o meglio dei Tony) per il teatro italiano: “Spettacolo dell’anno”, “Miglior attore o performer” (ovvero Massimo Popolizio) e “Nuovo testo italiano”.L’ottavo motivo, infine, consiste nel fatto che, di fronte a tanta bellezza, tanta bravura e tanta intelligenza, ci si scopre spesso commossi fino alle lacrime. Immediatamente consapevoli di vivere un’esperienza unica e indimenticabile. Non capita spesso.Vi basta?