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Sabato 8 novembre 2025

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La storia dei Sagnassi, un autentico gioiello naturalistico centallese

Risorgive di antica origine, bonificate e utilizzate per irrigare la pianura. Sono percorsi da un sentiero, ideale per le passeggiate nella bella stagione

La Guida - La storia dei Sagnassi, un autentico gioiello naturalistico centallese

Nella regione settentrionale del Comune di Centallo, sulla sponda opposta del torrente Grana rispetto al concentrico del paese, l’acqua sgorga dalla terra in più punti, scaturendo in superficie dalle profondità di una falda sotterranea. A prima vista, il fenomeno naturale fa pensare al sanguinamento del corpo umano a seguito di una ferita, e nei secoli scorsi ha indotto gli abitanti a coniare il toponimo “Sagnassi”, ovvero “terra delle sagne”. Con il linguaggio scientifico contemporaneo, la “sagna” è una risorgiva, ossia un punto in cui l’acqua dolce di una sorgente, dopo essere discesa a valle con il corso di un fiume ed essersi infiltrata in una falda freatica, risorge nuovamente in superficie sospinta dalla pressione sotterranea. Alimentata anche dall’infiltrazione dell’acqua piovana, la falda dell’oltre Grana affiora in più punti, su una superficie complessiva di circa 10 km quadrati appartenente al Parco fluviale del Gesso e dello Stura: il risultato è un ecosistema ricco di specie animali e vegetali che, anche al netto del massiccio intervento dell’uomo nel corso dei secoli, continuano a contraddistinguere la regione dei Sagnassi.

Dalla glaciazione ai fontanili ottocenteschi

L’origine del fenomeno naturale – approfondita da Marcella Mogna in un volume edito da Primalpe – risale alla cosiddetta fase wurmiana, da 100.000 a 15.000 anni fa. Con il progressivo scioglimento dei ghiacciai che durante l’epoca precedente si erano spinti a occupare l’intera pianura padana, dall’arco alpino iniziano a scendere a valle i primi fiumi e torrenti, portando con sé un primo strato di materiale grossolano e permeabile, per poi ricoprirlo con una seconda coltre di depositi più fitti e compatti. Nei punti in cui lo strato superficiale, impermeabile alle acque, risulta particolarmente sottile, la terra “sanguina”, facendo così emergere le risorgive che ristagnano sul luogo. Per migliaia di anni, l’oltre Grana centallese finisce così per assumere le sembianze di un torbido acquitrino popolato da rane, zanzare e altre specie palustri.
In epoca romana, durante lo stanziamento nella zona della quinta legione imperiale, viene effettuato un primo tentativo di utilizzare i canali naturali che solcano i Sagnassi per irrigare i campi del circondario, senza però stravolgere l’ecosistema locale.
Malgrado alcuni, parziali interventi di bonifica, la regione resta acquitrinosa fino all’Ottocento: una relazione di quel periodo, depositata all’Archivio di Stato di Cuneo, riferisce che “le sorgenti principali delle paludi dei Sagnassi di Centallo scaturiscono nel bacino detto Infernotto, dai molteplici occhi ivi esistenti vi fuoriescono, e dai canali raccoglitori sono condotte alla roggia Roella scorrente lungo la strada di Centallo che, dopo aver attraversato il torrente Grana con chiusa stabile va a dar moto al molino di proprietà demaniale. Il bacino dell’Infernotto è limitato dalla parte di levante dalla strada di Centallo e Villafalletto, per il tronco compreso tra la cascina Boschetti e la cascina Grossi”. L’acquitrino, insomma, si spinge fino all’attuale via Villafalletto e a regione Boschetti, coprendo una superficie molto più vasta di quella raccolta nell’attuale canale Infernotto, situato all’estremità occidentale del percorso. Le cose cambiano radicalmente a partire dal 1863, con l’arrivo a Centallo dell’avvocato Claudio Calandra di Murello: il legale, che oltre a occuparsi di giurisprudenza coltiva un forte interesse nell’ambito dell’idraulica agricola, ha da poco brevettato uno speciale tubo metallico con cui è possibile convogliare tutta l’acqua di una risorgiva in un fontanile, senza più ristagnamenti. I suoi studi si rivelano provvidenziali: nel periodo tra il 1880 e il 1890 l’intera pianura cuneese è colpita da periodi di grave siccità, e convogliando l’acqua dei fontanili dei Sagnassi in una fitta rete di canali è ora possibile alimentare l’intero territorio del consorzio irriguo, che fino a quel momento si era limitato a rifornirsi di acqua alla bealera del Molino. L’intervento di razionalizzazione viene realizzato dal geometra Francesco Donadio, e consente di bonificare definitivamente i Sagnassi, e al tempo stesso di irrigare tutto il territorio centallese.

Due sentieri per esplorare la terra delle risorgive

Che la regione benefici di una straordinaria abbondanza d’acqua è tuttora evidente anche a chi si limiti a passeggiare lungo le sue vie senza conoscerne il passato: in zona sono presenti il vecchio mulino demaniale – uno degli ultimi della piana cuneese, la cui ruota non è più in attività – una centrale idroelettrica che sfrutta il flusso idrico della bealera di Roella per produrre energia pulita, e persino un importante allevamento ittico. Malgrado le zanzare, le rane e le paludi se ne siano ormai andate da tempo, si possono osservare molte specie di volatili e una ricca vegetazione che non di rado invade il letto dei canali e delle bealere, nonché la testa dei fontanili durante i periodi di inattività delle risorgive: anche al netto di un’operazione di cementificazione dei rigagnoli non sempre razionale, i Sagnassi restano un autentico gioiello naturalistico, nonché un sentiero ideale per le passeggiate durante la bella stagione. Il punto di partenza per le escursioni è rappresentato dallo spiazzo adiacente alla sede dell’associazione cinofila “Le Fiamme”, raggiungibile svoltando a destra da via Busca subito dopo il ponte sul torrente Grana, dopo essersi lasciati l’abitato centallese e il semaforo alle proprie spalle. Qui è possibile scegliere tra due itinerari differenti, denominati “anello breve” e “anello lungo” dalla segnaletica del Parco fluviale. Il primo percorso, accessibile svoltando a sinistra dopo poco più di cento metri dalla partenza, ha una lunghezza complessiva di 5,4 km e consente di ammirare il cuore delle risorgive, ora convogliate nei fontanili dell’Infernotto. L’itinerario esteso, invece, si inoltra verso nord fino ai fontanili del canale Gambarero Grosso, per poi raggiungere il vecchio mulino e la centrale idroelettrica e svoltare a sinistra, attraversando le campagne fino ai fontanili dell’Infernotto e al tragitto dell’anello breve. La lunghezza complessiva della passeggiata è di 8,85 km. Nel percorso di andata si consiglia di adottare la variante sullo sterrato segnalata in rosa sulla cartina posta all’ingresso dell’itinerario, svoltando a sinistra alcune centinaia di metri dopo aver superato l’imbocco dell’anello breve. Il sentiero, immerso nella natura, consente di raggiungere la caratteristica casa del custode demaniale, che ora versa in condizioni di abbandono ed è invasa dalla vegetazione. Nel fabbricato a due piani nacque e crebbe il giovane don Stefano Gerbaudo, fondatore delle Missionarie diocesane di Gesù Sacerdote e Servo di Dio, in corso di beatificazione in Vaticano: suo padre, infatti, era il custode dei canali demaniali (campè) di regione Sagnassi, e beneficiava di quell’abitazione in virtù del suo incarico statale. Lo stipendio, tuttavia, non doveva essere molto elevato, dal momento che per mantenere la famiglia doveva ricorrere anche a vari lavori agricoli nel circondario. Lungo il sentiero, in prossimità delle bealere e dei fontanili, si possono avvistare numerose specie di uccelli. “Tra le altre – spiega la studiosa Marcella Mogna – ricorrono l’airone cenerino, la gallinella d’acqua, il germano reale, la ballerina gialla, il picchio rosso maggiore, il picchio verde, la ghiandaia, il fringuello, la cinciallegra, la capinera, la tortora dal collare orientale, il passero, l’usignolo, la gazza, la cornacchia grigia, il codirosso, il pettirosso, il colombaccio, il merlo, lo scricciolo, lo storno, il cuculo, la rondine e la quaglia, Non mancano anche alcuni occasionali avvistamenti di rapaci quali la civetta, il gufo e la poiana”.

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