Singolare atmosfera percorre questo romanzo. Un’atmosfera capace di unire presente e passato su un unico terreno, quello della vita in montagna. Una vita pesante, che ha come contropartita una rete di relazioni forte, capace di aiutare ad affrontare le difficoltà e insieme riconoscere e valorizzare le potenzialità dei singoli.
La trama del romanzo rimanda agli ultimi decenni del 1500, però le sensazioni che intessono il racconto godono di un respiro atemporale. Sembra quasi che l’esperienza di Bertran Guyot, il maestro itinerante del titolo, sia esperienza di chiunque sappia lasciarsi ammaliare dal fascino delle valli alpine ieri come oggi.
C’è un momento nel romanzo in cui Bertran, tornato a Torno dal padre, sale sulla collina che sovrasta la città. Guarda il paesaggio che lo circonda. Vede lontano le montagne imbiancate di neve. Sono le vette della valle dove insegna.
Ne scaturisce una riflessione fugace, ma significativa: dal basso, dalle strade della città certo non si poteva scorgere tutto questo “e poi, se anche fosse stato possibile, tutti in città camminavano con gli sguardi bassi. Per le preoccupazioni che appesantivano la testa, o per abitudine. Ma da quassù…”.
Già, “da quassù” il mondo è visto in ben altra prospettiva. Ne fa esperienza diretta Bertran da quando ha deciso di diventare maestro itinerante, cioè insegnante che viene “ingaggiato” dalla comunità di Babouté in val Chisone (oggi è Balboutet, frazione di Usseaux).
È uno dei villaggi dell’Escarton, di cui viene spiegata con chiarezza l’origine nella nota storica introduttiva. Lì l’anno scolastico va da ottobre a San Giuseppe. La primavera incalza presto e i lavori chiamano fuori dalla scuola.
Bertran scopre un mondo diverso da quello urbano. A cominciare dall’unità di misura delle distanze tra i luoghi: non le “pertiche” ma il tempo per percorrere un tragitto dà l’idea del cammino. Sono poi le meridiane a indicare lo scorrere del tempo, mentre la gente considera la fatica una compagna che rende tutti più ragionevoli, meno precipitosi.
Curiosamente però, procedendo nel racconto, le parti sembrano invertirsi o, almeno, equilibrarsi in un reciproco scambio di conoscenze.
Bertran da insegnante si accorge di essere diventato “alunno” alla scuola di ambiente e abitanti, di avere tutto da imparare sui sentieri, sulle erbe, gli animali, le vette. È un cammino che lo fa sentire immerso in quella comunità. Se ne accorge anche il capo del villaggio allorché coglie nei discorsi di Bertran l’uso del “nostro” a proposito di tutto quanto si riferisce alla comunità stessa.
Un romanzo in cui la Storia lascia un segno evidente. Bertran sperimenta infatti un’altra forma di vita associata, scopre una comunità in cui vige la regola della collaborazione. La conoscenza che il maestro deve portare deve servire al benessere di tutti.
È vero che “più cose si conoscono, più ci si sente liberi”, ma anche “non si può essere liberi solo per metà, bisogna esserlo tutti”. Così la stalla-aula può diventare luogo di incontro di fedi diverse e alla fine il maestro deve ricredersi sul cosa avrebbe potuto apprendere da “quei mucchi di rocce spigolose”.
Il maestro itinerante
di Franco Faggiani
Editrice Cai Edizioni
euro 10





