Ha bisogno di lentezza la vita per schiudere i propri tesori. Quella lentezza che attraversa i nuovi quadretti, per lo più ritratti di persone, che Daniela Dao Ormena consegna alle pagine scritte. Lo stile è in tutto simile al precedente libro: mettersi accanto per osservare, per “rubare” qualcosa, sempre con discrezione, sempre con la consapevolezza di sfiorare dei fragili tesori. Avere la pazienza di osservare senza pretendere di correre lontani da quella “città del quarto d’ora” in cui tutto deve essere a portata di mano per avere il tempo di fare tutto.
Quella che racconta è una vita a cui sedersi vicino, come fanno tante delle figure accostate: “guardiamo con occhi nuovi ciò che non vedevamo più”. I gesti non si impongono mai. Sono “sciolti” nella normalità del quotidiano. Non eccezioni per chi li vive. Fanno parte della giornata, paiono tramandati da tempi lontani ora rivissuti, sempre lontani da ogni retorica, come semplici momenti dell’esistenza.
Il territorio è ancora quello di Elva a cavallo tra le valli Maira e Varaita. Un ambiente che viene colto nella sua asprezza, nella fatica che chiede agli abitanti, senza però fare drammi. Quando emergono difficoltà, le si affronta magari insieme ad altri. Le si accetta come parte della vita “perché ogni vita dà almeno quanto toglie”. Non è rassegnazione, perché si mette in conto anche la furbizia di cogliere l’occasione propizia: “quando è il momento mangia l’uovo”, è l’insegnamento lasciato alla figlia. È il sorprendersi parte di una natura che in ogni luogo si fa sentire a chi vuole aprirsi: “dentro ad ogni affanno c’è un insegnamento”, ma bisogna entrarci per trovarlo.
In questa prospettiva del libro va rilevata una dimensione più marcata rispetto al precedente. Quasi sempre i brevi capitoli si concludono con frasi a mo’ di morale. Non è banale predicozzo aggrappato a sterile retorica. Sono piuttosto parole che intendono gettare ponti tra i ricordi e la vita di oggi. Quel risvegliare dal passato varie figure trova allora un senso. La memoria si avvicina al presente per aprirgli il suo fardello di saggezza, per mettere in discussione la presunzione del sapersi arrivati e preparati. Un invito a specchiarsi con umiltà.
Spesso affiora l’io narrante: l’autrice si identifica con la persona che rivive la propria vita sia essa la “magistro”, che ritorna a vedere la sua scuola trovandovi un suo alunno, o l’anziano che con sguardo innamorato ancora osserva di sottecchi la moglie che parla con le sue piante o il guardiano dell’acqua che doveva prendersi cura della bealera di San Martino. È un’identificazione che non si riduce a tecnica narrativa. Fa rima invece con adesione al ritmo della vita raccontata.
Questi “nativi naturali” sono “gente che vuole bene alla terra”, che conosce le varie “personalità” degli alberi”, coglie la “confortante imperfezione dell’autunno” come il rifiorire della primavera. Un mondo che libera la sua semplice magia attraverso lo sguardo di chi racconta.
Voci dell’anima
di Daniela Dao Ormena
Primalpe
20 euro
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